[FLORILEGIO]A.A.VALDES - Che cosa è la battaglia di Armaghedon

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00lunedì 23 luglio 2007 23:07
Ariel Alvarez Valdés, Cosa sappiamo della Bibbia?, ed. Istituto San Gaetano, 2002, vol. 6, pp. 113-122

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CHE COSA E’ LA BATTAGLIA DI ARMAGHEDON?


Un terribile combattimento

Basandosi sul Libro dell'Apocalisse, il fondatore dei Testimoni di Geova, Charles Russell, predisse che nel 1914 sarebbe scoppiata una spaventosa battaglia, in cui Dio avrebbe distrutto tutti i malvagi e i peccatori della terra: si tratta della famosa battaglia di Armaghedòn. Sempre secondo Russell, con essa avrebbe avuto inizio la Fine del Mondo.
Un simile annuncio richiamò l'attenzione di molta gente e di grande parte dell'opinione pubblica; fu così che molta gente, timorosa della nuova profezia, si affiliò immediatamente alla nuova setta. Tutti sanno che, una volta giunto il 1914, non accadde proprio nulla. Per giustificare il suo fallimento, Russel spiegò ai suoi seguaci che Dio voleva pazientare ancora un poco con i peccatori, e confermò che la grande battaglia si sarebbe certamente svolta nel 1918. La sua predizione fallì miseramente ancora una volta.
Di fronte alla nuova frustrazione e al cosiddetto flop di credibilità cui era piombato Russell, il suo successore, Joseph Rutherford, rifece i calcoli e fissò per la terza volta la data di quello scontro mortale, assegnandole l'anno 1925. Ahimè, anche costui non indovinò. I Testimoni di Geova, infine, pronosticarono la battaglia di Armaghedòn per il 1975, sbagliando ancora una volta. Di bugia in bugia, non fecero altro che sconvolgere il mondo con inutili predizioni.
Nonostante questi ed altri fallimenti, numerose sette continuano ad annunciare, di tanto in tanto, l'arrivo della battaglia di Armaghedòn. Perché non indovinano mai? Non è forse vero che nel Libro dell'Apocalisse (16,16) leggiamo che alla fine dei tempi ci sarà un gigantesco combattimento in cui tutti i malvagi saranno sterminati, e che si salveranno unicamente i buoni? Quando avverrà questo? Dove avrà luogo?

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Il giorno di Dio

Per rispondere a queste domande, occorre spiegare perché la Bibbia annuncia questa battaglia. Già prima di Cristo il popolo di Israele dovette patire ingiustizie e persecuzioni per potersi mantenere fedele a Dio. Di fronte a tanto dolore, i profeti annunciarono che quella sofferenza non si sarebbe prolungata indefinitamente, e che ad un certo punto Dio sarebbe intervenuto nella storia degli uomini per castigare i peccatori. Poiché il popolo di Israele era un popolo guerriero, i profeti immaginarono che quest'intervento di Dio avvenisse per mezzo di un'azione militare, che il Signore in persona sarebbe apparso sulla terra con il suo esercito celestiale per sconfiggere i suoi nemici e avrebbe assunto il governo del mondo. Costoro chiamarono quel futuro evento "II Giorno di lahvé".
Il primo ad annunciare la venuta del Giorno di lahvé fu il profeta Amos (5,18-20). Lo seguirono altri profeti, come Ezechiele (38-39), Sofonia (1,14-18), Gioele (4,1-3.11-16) e Zaccaria (12; 14). Così, a poco a poco, nella mentalità della gente si insediò l'idea di un combattimento tra Dio e i malvagi di questo mondo, un conflitto di terribile entità e crudezza che sarebbe avvenuto soltanto negli ultimi tempi, cioè nei cosiddetti tempi "escatologici". Quel combattimento non è mai arrivato, e le profezie si sono infrante dinanzi alla ineluttabilità della storia. Nonostante tutto, secolo dopo secolo gli Ebrei attesero quell'intervento militare divino perché avrebbe messo ordine e stabilito la giustizia nella storia dell'umanità. La profezia fu rimandata indefinitamente, e non si compì mai.

Dove si trova quel luogo?

Giunta l'era cristiana, un autore sacro, chiamato Giovanni, compose il Libro dell'Apocalisse, in cui annunciò che il Giorno di lahvé, cioè la battaglia della Fine del Mondo, era finalmente vicina. Quando sarebbe accaduta? Come sarebbe stata? Per capire l'Apocalisse non dobbiamo dimenticare che, nel corso delle sue visioni, l'autore racconta sempre i fatti in modo graduale e

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progressivo. Gli eventi descritti da Giovanni sono sempre gli stessi, ma trattandosi di avvenimenti difficili da esprimere a parole, per completare il messaggio egli utilizza diverse immagini e visioni, allegorie e altre categorie letterarie.
L'Apocalisse parla tre volte della battaglia di Armaghedòn.
Per avere un'idea compieta del tema dobbiamo innanzitutto analizzare i tre passi in cui essa viene menzionata, e relazionarli tra loro (cosa che, di solito, sì guardano bene dì fare i predicatori delle sette, sia per una loro cronica ignoranza sia in virtù di una malafede che nascondono con molta difficoltà).
II primo passaggio sulla battaglia di Armaghedòn recita: "Gli spiriti di demoni vanno a radunare tutti i re della terra per la guerra del gran giorno di Dio onnipotente... E radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Armaghedòn" (Ap 16,16).
Con questa prima allusione, l'Apocalisse addita la riunione di un potente esercito mondiale; non indica ancora chi lo conduca, né contro chi combatterà, né quando lo scontro avverrà; anticipa soltanto il luogo della battaglia, che è proprio Armaghedòn.
Dove si trova Armaghedòn? Questo nome, che non viene menzionato in nessun altro luogo della Bibbia, né in alcuna altra parte della letteratura antica, è formato da due parole: Ar, che in ebraico significa "monte", e magedon (nome della famosa città di Meghiddo). Pare perciò abbastanza chiaro che il luogo in cui avverrà la grande battaglia sarà la montagna dì Meghiddo.

La perla desiderata

Perché l'Apocalisse pone la battaglia in Meghiddo? Che significato aveva in quel tempo questo nome? Nella storia di Israele Meghiddo fu la città più strategica di tutto il Paese. Era costruita all'uscita di uno stretto corridoio, aperto tra le montagne del Carmelo e quelle di Samaria. Quella gola (oggi chiamata Wadi Arà) era la strada obbligata per gli eserciti e le carovane dei commercianti che viaggiavano da Sud (Egitto) verso il Nord (Damasco e Mesopotamia). Attraverso quella gola passava la strada internazionale (la famosa Via Maris) che univa l'Africa

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con il Medio Oriente. Coloro che attraversavano una forra di simili fattezze geologiche si trovavano di fronte la fortezza di Meghiddo, architettonicamente posta in quel luogo proprio per garantire il controllo del passaggio delle carovane e degli eserciti.
Se già Israele era un Paese chiave nel Medio Oriente, perché era considerato il "ponte" tra Nord e Sud, Meghiddo era addirittura il luogo chiave per la parte interna d'Israele: era perciò il cosiddetto "ponte del ponte".
La città divenne una perla desiderata da tutti. Per lunghi anni nei suoi dintorni si svolsero battaglie decisive, che finirono per modificare la situazione storica della regione. Nel 1125 a.C., per esempio, gl'Israeliti riuscirono a sopraffare il generale cananeo Sisara e cambiarono il destino delle tribù ebraiche (Gdc 4-5). Nell'841 a.C. il militare ribelle Jeu uccise Joram (re d'Israele) e Ocozia (re di Giuda), e cambiò il destino di quei due Regni (2Re 9,22-29). Nel 609 a.C. il re Giosia fu assassinato a Meghiddo, e così svanì per sempre nel nulla la riforma religiosa da lui progettata (2Cr 35,19-25). Nei cosiddetti "tempi biblici", si combatterono circa dodici battaglie in questa città o nella valle che la circonda (gli scontri bellici sono in realtà circa trentaquattro, se contiamo quelli avvenuti in epoche successive a quei tempi biblici). Nessun altra regione del mondo come Meghiddo è stata scenario di un così elevato numero di scontri bellici.
Secondo la tradizione ebraica, Meghiddo e i suoi dintorni divennero a poco a poco, per antonomasia, i simboli delle battaglie decisive. Fu questo il motivo per cui l'autore sacro del Libro dell'Apocalisse scrisse che la battaglia della Fine dei Tempi avrebbe avuto luogo in Armaghedòn; cosicché egli non pretese di dare un'ubicazione geografica reale, ma cercò, semplicemente e simbolicamente, di esprimere che quella sarebbe stata una battaglia decisiva, uno scontro che avrebbe cambiato per sempre il destino della storia

Lottare contro un agnello

Nel secondo testo dell'Apocalisse che parla della battaglia di


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Armaghedòn leggiamo: "Essi (cioè i re della terra che si riunirono ad Armaghedòn per la lotta) combatteranno contro l'Agnello, ma l'Agnello li vincerà, perché è il Signore dei Signori e il Re dei re e quelli con lui sono i chiamati, gli eletti e i fedeli" (Ap 17,14).
In tale contesto l'autore introduce una importante novità sul tema: nella tanto attesa battaglia della Fine del Mondo non sarebbe intervenuto personalmente Dio, come si era creduto fino a quel momento, ma lo avrebbe fatto mediante suo Figlio Gesù, che l'Apocalisse chiama "Agnello". Egli solo sarà colui che compirà la tanto attesa profezia.
L'autore aggiunge anche un dettaglio essenziale ed importante, perché ci aiuta a capire meglio l'evento bellico: l'Agnello, diversamente da quanto pensava la gente, non avrebbe lottato facendo ricorso all'aiuto di eserciti divini, né di legioni di angeli, né di milizie scese dal Ciclo, ma sarebbe stato aiutato da "i suoi". Secondo Ap 14,1 "i suoi" (coloro che accompagnano l'Agnello e formano il suo esercito) sono tutti i cristiani che perseverano nella fede e si mantengono fedeli alla sua Parola. Pertanto, l'autore sacro insegna che il successo che l'Agnello otterrà sulle potenze del Male sarà possibile anche grazie all'aiuto che i cristiani apporteranno combattendo con lui.

In un lago di fuoco

II terzo riferimento alla battaglia di Armaghedòn, in cui - tra l'altro - si raccontano finalmente gli aspetti peculiari del combattimento recita: "Poi vidi il ciclo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava è chiamato Fedele e Veritiero: egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco; sul suo capo ha molti diademi e porta scritto un nome che nessuno conosce all'infuori di lui. È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è: il Verbo di Dio. Gli eserciti del ciclo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. Dalla bocca gli esce una spada affilata, per colpire con essa le genti... Vidi, allora, la bestia e i re della terra con i loro eserciti radunati per muovere guerra contro colui che era seduto

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sul cavallo e contro il suo esercito. Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta che, alla sua presenza, aveva operato quei portenti con i quali aveva sedotto quanti avevano ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo. Tutti gli altri furono uccisi dalla spada che usciva di bocca al cavaliere". Risulta evidente lo sforzo dell'autore di rendere disponibili i dati che mancano per capire completamente le caratteristiche della battaglia di Armaghedòn.

Per il sangue umido

Nella visione, Giovanni vide aprirsi il Ciclo; lo aveva già visto aperto precedentemente tre volte, ma sempre attraverso una piccola porta (4,1; 11,19; 15,5). Adesso, invece, è il Cielo intero ad aprirsi senza richiudersi; ciò significa che i fatti che si stanno manifestando nella visione appartengono ad una rivelazione totale e definitiva, che non potrà essere più modificata.
L'autore contempla un cavaliere che scende dal Cielo con un cavallo, pronto per la guerra: non ci dice chi sia costui. Non è difficile interpretare la descrizione che ne fa (viene a giudicare, il suo nome è "Parola di Dio", porta molte corone, monta un cavallo bianco che simboleggia la salvezza, ha il titolo di "Fedele" e "Veritiero"), pertanto non c'è dubbio che si tratti proprio di Gesù Cristo. Il cavaliere appare avvolto in un manto intriso di sangue. Di chi è questo sangue? Non può essere dei suoi nemici, perché la battaglia non è ancora iniziata. Se il cavaliere discende dal Cielo con il vestito già intriso di sangue, non può che trattarsi del suo sangue. Merita una riflessione del tutto particolare l'affermazione di Giovanni secondo la quale la veste del cavaliere celeste non è "macchiata" di sangue (cioè non è sangue secco), ma "intrisa" di sangue (cioè è sangue fresco): perciò si tratta di sangue versato recentemente. Pertanto, Gesù che qui appare in groppa al cavallo bianco è il Cristo che è stato da poco glorificato, perché morto dissanguato sulla croce; si tratta dello stesso Uomo che ha dato la sua vita per gli uomini, e che con quel sacrificio ha salva-

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to l'umanità. È quel Gesù, un personaggio storico e perciò reale, che ora è in procinto di affrontare i suoi nemici nella cruenta ed irreversibile battaglia di Armaghedòn.

Il trionfo di un morto

Stranamente, senza alcun motivo apparente, la battaglia non viene raccontata, anzi non avviene alcuno scontro tra il Cristo glorificato e le potenze del Male. Leggiamo solo che il cavaliere infligge un severo castigo a ciascuno dei due capi principali della coalizione nemica: la Bestia (che attraverso il capitolo tredicesimo sappiamo essere l'Impero Romano) e il Falso Profeta (che, in virtù di un chiarimento successivo, è la religione pagana di Roma, costruita dall'imperatore per sedurre e convincere i cristiani ad adorarlo come dio).
Il racconto indugia poi sulla distruzione totale dei nemici dell'Agnello; essa non viene messa in opera mediante una sanguinosa lotta, così come attendevano e profetizzavano gli Ebrei, ma per mezzo della "spada" che esce dalla bocca del cavaliere(1,16; 2,12.16); sembra piuttosto evidente che la spada è simbolo della Parola di Dio.
Il messaggio che l'autore sacro intende fornire è ormai svelato: la battaglia della fine dei tempi, annunciata dai profeti ebrei, con cui Dio doveva intervenire nel mondo per mettere ordine, sterminare i malvagi e i peccatori ed assumere il controllo definitivo della Storia, ebbe inizio e avvenne storicamente con la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Quel giorno glorioso, Dio intervenne finalmente per mutare il destino che pesava sull'umanità afflitta dal peso del peccato e della morte. La morte del Figlio di Dio fu la vera lotta contro i nemici. Mediante la sua risurrezione, egli li sconfisse, li sprofondò nell'abisso ed assunse definitivamente il governo del mondo. Il messaggio suggerisce dunque che non si deve più attendere alcun altro intervento di Dio nella Storia, perché in quello stesso giorno di morte e di risurrezione le forze del Male furono sconfitte senza scampo e senza appello, il loro potere fu reso sterile, e il mondo intero è stato definitiva-

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mente assunto dalla figliolanza che lo lega alla paternità divina.
Perciò, con la morte e risurrezione di Cristo, cioè con la battaglia finale (che l'Apocalisse chiama simbolicamente Armaghedòn), l'umanità è già a entrata nella vita escatologica.

Non era facile dirlo

La domanda è questa: perché quando l'Apocalisse racconta il trionfo finale di Cristo (o Armaghedòn), il Signore appare mentre prevale su due figure cosi concrete come l'Impero Romano e la religione pagana, invece di sopraffare le forze malvagie del mondo? Perché in quell'epoca l'Impero e la sua religione erano ciò che più terrorizzavano i cristiani.
Quando Giovanni infatti scrisse l'Apocalisse, la comunità ecclesiale attraversava un doloroso momento della sua travagliata storia. L'imperatore di Roma aveva scatenato una sanguinaria persecuzione contro i cristiani, molti erano stati uccisi con crudezza. Altri avevano perduto i beni, il lavoro, gli amici e persino la famiglia per mantenere fede all'insegnamento di Gesù. Tutti avevano paura, tutti erano angosciati, e perciò vivevano nascosti; sempre, comunque, andavano chiedendosi: "Fino a quando l'Impero Romano ci perseguiterà? Dio non farà nulla per soccorrerci?".
A queste angosciate domande Giovanni da una risposta: innanzitutto la comunità non deve dimettere la propria fede, perché Gesù Cristo è colui che ingaggia la battaglia della fine dei tempi; e in secondo luogo perché i primi sconfitti di quello scontro saranno proprio la Bestia (l'Impero Romano) e il falso profeta (la religione pagana). Perché però si ottenga una vittoria duratura su tali nemici, la comunità dei credenti è chiamata a collaborare alla battaglia: tutti i cristiani sono invitati a mantenere la fede, perché soltanto in tal modo avranno la meglio sul nemico.
II coraggio, l'audacia e la lucidità nell'annuncio della sconfitta totale dell'Impero Romano, mentre l'imperatore godeva del massimo prestigio, mentre i cristiani soffrivano i patimenti della persecuzione, fu il grande atto di fede che l'autore dell'Apocalis-

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se fornì di se stesso e che permise alla comunità di salvarsi dalla disperazione: perché garantì di sopravvivere alla persecuzione.

Una battaglia che è già accaduta

Anche oggi, come ai tempi di Giovanni, l'umanità è preda di una angoscia esistenziale perché - come generalmente si dice - tutto "Va a rotoli"; molta gente ritiene che non ci sia soluzione alla deriva cui l'umanità sta più o meno deliberatamente condannandosi.
Le sette trovano il terreno fertile in uno scenario di siffatta disperazione, perciò attendono che Dio intervenga con il suo esercito celeste, o mediante catastrofi naturali, per castigare l'umanità corrotta e risolvere i mali di questo mondo. Il catastrofismo è una droga che s'insinua in un cammino di paura e di terrore senza scampo né ritorno.
In realtà, il messaggio che il Libro dell'Apocalisse trasmette è chiaro: il Male affligge tuttora l'umanità; insieme al dolore coabiterà nel mondo fino alla fine dei tempi; ma l'uno è l'altro sono stati definitivamente sconfitti dalla Redenzione operata dal Cristo con la sua morte e risurrezione. Se così non fosse, la nostra fede sarebbe vanamente riposta in una illusione. Gesù di Nazaret non è soltanto un personaggio storico, ma è soprattutto la ragione della speranza, tutto ciò che di tangibile e di reale esiste per consolidare la certezza che siamo figli di un Dio di Amore.
Il messaggio apocalittico c'insegna altresì che, se da una parte è vero che Cristo ha già vinto, d'altra parte noi cristiani abbiamo l'obbligo di continuare a prestare il nostro contributo in questa battaglia contro il Male; l'arma di cui disponiamo in questo scontro non è cosa da poco, perché è nientemeno che la Parola di Dio.
La Parola è come una spada affilata: essa è capace di vincere é qualsiasi male. Perciò dobbiamo amarla e conoscerla, crederle e viverla con fedeltà.
Non è confortante che siano pochi i cristiani che fronteggiano le necessità della vita, la soluzione dei drammi esistenziali, osservando fedelmente la Parola di Dio. Il mondo intero attende la risposta dei cristiani: perché essi hanno ereditato dal Cristo, Si-

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gnore del Cielo e della Terra, Tarma vincente affinché la vittoria di Armaghedòn rimanga reale e si rinnovi ogni giorno.

Ciao [SM=x570892]

Bruno

Trianello
00martedì 24 luglio 2007 23:44
Avevo fatto un sunto di questo capitolo (e di altri) dell'opera di Valdes in questa discussione:

freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=47801&idd=5233
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