HA INIZIO LA NARRAZIONE DELLE GRANDI IMPRESE E DEI GRANDI PERSONAGGI DELLA…
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Nell’anno del Signore 1155, le terre soggette al dominio della Serenissima sono Zara, Pola e Venezia.
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Al governo vi è la famiglia Morosini, con il Doge Domenico, uomo severo ed esperto conoscitore delle complicate trame della politica e della burocrazia.
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Egli è sposato con una nobildonna veneziana, Donata, e ha una figlia femmina, Lucia. Per sopperire alla mancanza di un erede maschio, il Doge non ha esitato a combinare un matrimonio fra sua figlia e il nobile Vitale II della famiglia Michiel.
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Questi è un giovane energico e robusto, un superbo amministratore e un fedele collaboratore; tuttavia, nella sua vitalità, non esita a tradire la sensibile Lucia con molte altre donne. E difatti, i due non hanno ancora avuto un figlio.
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Altro nobile fidato del Doge, è l’abile comandante Orio Polani, al quale è affidato il governo di Zara, città importante per i veneziani, ma situata in una posizione difficile, nelle possibili mire dei nascenti magiari e degli infidi bizantini.
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Al servizio della Serenissima, ci sono anche altri personaggi di non minore importanza: in primis il cardinale Angelo Cesti, devoto cristiano, impegnato nella predicazione della parola di Cristo nelle brulle terre di Pola.
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Poi c’è il mediocre mercante Berto Zen, gestore dei commerci di carta della provincia veneziana.
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Infine, l’elusivo Gaspare Lazzarini, spia del Doge, incaricato di tenere d’occhio i confini occidentali dei domini veneziani.
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Dopo avere di recente ispezionato i domini veneziani, il Doge aveva preso la risoluzione che andavano aumentati i territori direttamente soggetti alla Serenissima, per poter potenziare l’economia. Per questo proposito, si cominciò ad allestire un esercito, dirottando verso Venezia tutte le truppe in eccesso che si trovavano nelle altre province; il risultato non fu certo un’armata da temere, ma perlomeno ora il Doge Domenico poteva disporre di un esercito da comandare.
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Sussisteva però un altro dilemma: che porre alla guida dell’esercito? Domenico dubitava di poter ancora andare in battaglia, dati i suoi 55 anni, e di certo non voleva privare le province veneziane dei loro governatori. Dunque, decise di adottare un uomo di fiducia; la scelta cadde su un giovane guerriero, di rinomate doti, tale Almerico Contarini.
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Costui era un uomo di giudizio, e un buon combattente, dunque a chi altri poteva essere affidata una missione tanto delicata quanto quella che pianificava il Doge? L’obbiettivo di questa prima armata veneziana, sarebbe stato il vicino castello di Verona, punto strategico per il controllo della foce del Po.
Proprio mentre gli ultimi preparativi per la spedizione venivano compiuti, fu inviato un emissario presso i territori d’oltralpe del Sacro Romano Imperatore; le proposte che gli furono avanzate rappresentavano un tentativo di superare i conflitti recenti che c’erano stati fra l’Impero e i comuni italiani.
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Purtroppo, però, l’Imperatore Federico Barbarossa, dalla sua rocca di Strasburgo, non aveva intenzione di allearsi con qualcuno che non accettava la sua superiorità, e rifiutò la proposta diplomatica.
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Quando nell’inverno del 1157, il nobile Almerico segnalò al suo signore che la spedizione verso Verona era pronta a partire, il Doge volle prima che il condottiero prendesse in moglie una donna veneziana di buona famiglia, Dea di Biagio. Fu organizzato un incontro fra i due promessi, durante il quale ebbero entrambi modo di constatare che la loro sarebbe stata solo una unione di convenienza; poi avvennero le nozze, e gli sposi sfilarono per la città lagunare, distribuendo sorrisi alla gente.
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E già il mattino dopo il matrimonio, Almerico dovette lasciare con qualche rimpianto il letto di nozze per passare in groppa a un cavallo da guerra. La sua armata giunse rapidamente alle porte di Verona, che fu cinta d’assedio. La schiacciante superiorità numerica degli avversari, suggeriva prudenza al condottiero veneziano, che stabilì un saldo assedio al castello, ma senza alcun proposito di lanciare un assalto. Le notizie, nei mesi successivi, dell’avvicinarsi di un’armata milanese a Verona, spinse il Doge a inviare una proposta di alleanza al Comune di Milano.
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i lombardi non si fecero pregare, e accettarono tranquilli di stipulare il trattato, prevedendo di trovare nei veneziani un utile alleato contro eventuali incursioni imperiali in Italia.
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Il prolungarsi dell’assedio di Verona, e le conseguenti spese logistiche, non fecero bene alle finanze di Venezia, che iniziarono a calare.
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Per fare fronte almeno in parte alle uscite militari, il Doge cercò di portare nuove entrate stipulando nuovi accordi di commercio. Il primo a ricevere una proposta del genere fu il Santo Padre, a Roma, che non disdegnò anche un’alleanza con i devoti veneziani.
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Altro regno che entrò a far parte del giro di amicizie e di commerci della Serenissima, fu la Sicilia.
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Nel 1160, inoltre, nonostante la depressione economica sempre più accentuata, con un’abile manovra politica, il Doge riuscì a portare dalla sua parte il Primo arcivescovo, Angelo Cesti, nel Concilio dei Nobili, grazie alla sua politica sfacciatamente filo papista. E nell’inverno di quello stesso anno, volse finalmente al termine il lungo e dispendioso assedio di Verona. La guarnigione cittadina, infatti, provata e decimata dalla fame, compì una furiosa sortita contro le truppe di Almerico. Le forze in campo erano sostanzialmente uguali per numero e capacità, e ciò voleva dire che a perdere sarebbe stato chi avrebbe commesso un errore.
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Lo scontro avvenne nella seconda metà della giornata, sotto un cielo che minacciava burrasca.
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Il fiero Almerico schierò le sue forze in fretta, confidando che i nemici avrebbero attaccato in massa. Dispose centralmente i lancieri leggeri, e alle spalle di questi, gli arcieri. La cavalleria, fu divisa equamente e disposta sui fianchi, a una certa distanza dal corpo centrale, pronta ad aggirare il nemico.
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Disposte le truppe, al generale veneziano non restò che attendere l’arrivo dei ribelli.
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A mano a mano che essi si riversarono dal portone, apparve chiaro che lo scontro era meno semplice di quanto prospettato. Appena i nemici furono a tiro, gli arcieri scoccarono le loro frecce, sperando di alleggerire lo schieramento avversario.
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Il capitano ribelle, osservato il ventaglio disposto da Almerico, non fu stolto. Divise le sue truppe in tre gruppi, lanciando il corpo principale verso la fanteria veneziana, e spostando dei reparti di lancieri verso le ali, per tenere a bada la cavalleria.
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La mossa spiazzò Almerico, che aveva sottovalutato le capacità del suo rivale; quando gli arcieri nemici iniziarono a tirare verso i veneziani, il generale della Serenissima doveva ancora decidere come agire. L’idea giunse appena in tempo: il Contarini fece aprire la cavalleria sulle ali, in modo da dirottare e disorientare i minacciosi lancieri nemici.
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Mentre sulle ali si effettuavano queste manovre, i due corpi d’armata principali vennero a contatto, con fragore.
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Con l’inasprirsi del combattimento, anche gli arcieri veneziani si gettarono nella mischia, urlando il nome della loro città. Sulle ali, nel frattempo, la situazione cambiò rapidamente: a sinistra, dove si trovava anche Almerico, le manovre elusive della cavalleria riuscirono a separare i reparti nemici e ad annientarli singolarmente; a destra, invece, la cavalleria veneziana evitò i lancieri e si lanciò verso gli arcieri ribelli, volgendoli rapidamente in fuga.
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Tuttavia, questa manovra lasciò scoperto il fianco destro alla fanteria, che si trovò attaccata dai lancieri nemici.
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Vista la situazione, un reparto di sergenti a cavallo tornò sui propri passi, e attaccò alle spalle i lancieri che premevano sul fianco destro veneziano.
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A questo punto la battaglia andò velocemente risolvendosi: a sinistra, i nemici furono completamente annientati, e perì il capitano ribelle Brunaccio, spappolato dagli zoccoli dei cavalli.
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A destra e al centro, i nemici furono volti in fuga.
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La generale rotta nemica, ebbe un esito disastroso per i ribelli, che permisero così ai veneziani di entrare nel castello, terminando la distruzione dei nemici nelle strade di Verona.
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A fine giornata, gli uomini della Serenissima, con Almerico in testa, festeggiavano l’avvenuta presa di Verona.
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La popolazione fu risparmiata, e ciò contribuì certamente alla positiva accettazione del dominio veneziano sul veronese.
TO BE CONTINUED...